• Skip to primary navigation
  • Skip to main content
  • info
    • Archivio
  • Interviste
    • Intervista a Giannozzo Pucci
    • Intervista a Guido Cattolica
    • Intervista a Aldo Frangioni
    • Intervista a Ines Romitti
    • Gino Girolomoni e l’Esperienza a Montebello
    • Margaux D’Afflitto
    • Andreina Montà Zegna
    • Ermanno Pozzi
    • Maurizio Ferrucci
  • Misticismo Orientale
    • Induismo
    • Buddhismo
      • La vita di Buddha, l’infanzia e la gioventù
      • La vita di Buddha, l’Illuminazione e la morte
    • Taoismo
    • Il pensiero cinese
    • Zen
  • Links
    • Libreria Editrice Fiorentina
    • l’Ecologist Italiano
    • La successione di Fibonacci nella Fillotassi
    • The Voynich Manuscript
    • Association Kokopelli — Semences biologiques, libres de droits et reproductibles
    • Internazionale
    • Slow Food
    • Acta Plantarum
    • World Wide Fund for Nature
    • The Garden Landscape Guide
    • British Antarctic Survey – Polar science for planet earth
    • Fai | Fondo Ambiente Italiano
    • Greenpeace Italia
    • Gruppo Giardino Storico dell’Università di Padova
LESSICO NATURALE

Should Trees Have Standing?

1 December 2019

In un libro intitolato Should Trees Have Standing?, uno studioso di diritto, Christopher D. Stone, si è spinto fino a sostenere che si dovrebbe riconoscere a foreste, laghi e montagne il diritto di intentare cause legali nei tribunali americani. L’idea non è forzata come sembra; agli occhi della legge, aziende e navi sono già «persone giuridiche», e quindi perché non anche gli alberi? L’argomentazione di Stone venne effettivamente accolta dal giudice William O. Douglas, e in anni recenti sono state intentate con successo alcune cause legali per conto di alberi e altri oggetti naturali.

Non sono sicuro di apprezzare l’idea che il mio acero diventi un attaccabrighe dalla querela facile. Benché i proponenti dei diritti della natura abbiano sicuramente a cuore l’interesse del mio albero e della natura in genere, mi preoccupa il fatto che, in un mondo dove gli alberi avessero dei diritti, con ogni probabilità quelli degli esseri umani sarebbero sostanzialmente diluiti. I diritti dell’individuo – questa conquista tanto fragile della storia occidentale, e ottenuta a così caro prezzo – non se la passerebbero bene in un mondo di «diritti della natura»: se non altro perché, in natura, le specie contano sempre più degli individui. Dalla prospettiva «biocentrica» che gli ambientalisti radicali ci stanno spingendo ad adottare, gli ultimi grizzly contano più di qualsiasi singolo essere umano. Nel tentare di espandere il liberalismo al punto da fargli abbracciare la natura, potremmo finire per distruggerlo.

Naturalmente questa è un’obiezione meramente pragmatica, e non modificherà le posizioni di chi pensa di aver scoperto una nuova verità sulla natura. L’idea dell’albero come detentore di diritti, in realtà, non è che un’altra metafora, che siamo liberi di accettare o respingere. Se farà presa in questo paese (e temo che possa riuscirci) sarà perché coincide sia con la nostra tradizione liberale, sia con l’Albero Romantico di Thoreau. (Perché che cosa è mai l’Albero Attaccabrighe se non un Albero Romantico assistito da un avvocato?). Eppure, con tutto il loro parlare di biocentrismo, i fautori dei diritti della natura non sfuggono mai davvero alla trappola dell’antropocentrismo: i diritti, dopo tutto, sono un’invenzione umana, che sta sempre a noi concedere o negare.

E, comunque, non possiamo trovare una metafora meno goffa dell’ennesima fondata sui «diritti»? In effetti, la scienza ha recentemente proposto alcune nuove descrizioni degli alberi che mi hanno colpito come molto più promettenti e che, a posteriori, conferiscono un singolare carattere di prescienza agli antichi, intensi sentimenti del genere umano verso gli alberi.

Pensiamo all’albero come all’apparato respiratorio della Terra: un organo che contribuisce a regolare l’atmosfera del pianeta espirando ossigeno fresco e inalando l’anidride carbonica che gli animali, i processi di decomposizione e la civiltà riversano in essa. In questa nuova descrizione, l’albero non è soltanto un membro dell’ecosistema forestale locale (dove sappiamo già da tempo che esercita un’influenza considerevole sulla vita, sul suolo e anche sul clima); è anche un organo vitale in un sistema globale più intricato e interdipendente di quanto avessimo mai realizzato. Con ogni probabilità, la Terra non è un’astronave ma un organismo, e gli alberi potrebbero essere i suoi polmoni.

Usando strumenti per l’analisi dei gas installati sul versante di un vulcano nelle Hawaii, gli esseri umani hanno realmente osservato il respiro della Terra, che segue un ritmo annuale: ogni estate, mentre le foreste inspirano, nell’atmosfera dell’emisfero settentrionale la quantità di anidride carbonica diminuisce; e a ogni inverno, quando la fotosintesi segna il passo e il mondo civilizzato aumenta il consumo di combustibili fossili, i livelli di anidride carbonica tornano ad aumentare – ogni anno un po’ più alti. (In questa nostra epoca, probabilmente, il respiro della Terra sta facendosi affannoso, mentre l’inalazione di anidride carbonica da parte delle foreste fatica a tenere il passo con il pesante respiro caldo della civiltà). Qui, allora, troviamo i lineamenti di una nuova metafora arborea, di grande potenza, bellezza e significato.

La scienza ha anche finito per considerare gli alberi come barometri della nostra salute ecologica, giacché sembrano manifestare, molto prima che affiorino altrove, gli effetti dei danni arrecati dall’uomo all’ambiente. Gli ecologi pensano che l’effetto serra si presenterà dapprima nelle foreste, dove le specie che amano i climi freschi, incapaci di migrare verso nord abbastanza velocemente per tenere il passo con il clima sempre più caldo, potrebbero ben presto ammalarsi e soccombere. Già le foreste del New England mostrano gli effetti delle piogge acide (come il lettore ricorderà, questa è la ragione per cui mi portai a casa un acero riccio; il mio albero probabilmente è un indice dei nostri primi sforzi per adattarci a questo nuovo mondo). Gli alberi sono come i canarini che i minatori usavano portare con sé nelle miniere di carbone; poiché gli uccelli soccombevano ai gas velenosi molto prima degli esseri umani, mettevano in guardia i minatori sulla presenza di pericoli invisibili.

Potendo scegliere, preferirei che a prender piede fosse l’Albero Polmone o l’Albero Canarino, piuttosto che l’Albero Attaccabrighe. Queste prime due metafore (che in effetti sono strettamente correlate) hanno il pregio di costringerci a vedere le connessioni fra le nostre piccole azioni locali e la salute globale del pianeta; ci incoraggiano a preservare gli alberi che abbiamo e a piantarne di nuovi; ma – ancora più importante, credo – la metafora del polmone ci mette nuovamente in rapporto reciproco con gli alberi. Erode le idee romantiche sulla loro Alterità, orientandoci verso un piano esistenziale condiviso. Se arrivassimo a pensare agli alberi come a polmoni, e alla Terra come a un organismo, non avrebbe più senso pensare a noi stessi come a creature esterne alla natura, né agli alberi come a esseri esterni alla cultura. In effetti, tutta la metafora esterno/interno potrebbe appassire, e sarebbe una buona cosa.

Ovviamente è impossibile prevedere quale di queste nuove metafore prenderà piede, ammesso che una di esse lo faccia; dipenderà da quanto si dimostreranno utili, come pure dalle solite vicissitudini delle nostre conversazioni sulla natura. In qualsiasi momento, infatti, potrebbe affacciarsi un nuovo Thoreau – che stavolta potrebbe, o meno, essere uno scienziato – e ricreare completamente la nostra idea di albero, lungo linee che forse non possiamo prevedere. Questo però sono in grado di dirlo: se potessi sapere che ne sarà del mio acero da qui a cent’anni, saprei anche moltissimo sul destino della natura.

Un giorno, non molto tempo fa, ho riflettuto esattamente al tipo di notizia che vorrei ricevere dal mio albero. Era un mattino, di buon’ora, dopo una notte che aveva portato la prima neve. Nel cielo d’oriente il sole era così basso e così luminoso, che l’acero gettava un’ombra insolitamente lunga e ben definita sulla bianca superficie innevata. Correva dritta a ovest attraverso il prato, poi piegava su per una collinetta, e infine s’addentrava nei boschi, dove io ne persi traccia.

E allora che cosa volevo sapere da laggiù, dall’orizzonte? Di certo il rapporto stilato sul mio albero da un botanico sarebbe stato utile. L’acero riccio è una specie che ama i climi freschi, e se nel caldo clima del 2091 si fosse ammalato, saprei che l’effetto serra è reale e non siamo stati in grado di evitarlo. Ma forse ancor più rivelatrice della relazione di uno scienziato sarebbe una lettera, scritta nel futuro, che per caso dedicasse qualche frase alla descrizione del mio albero, nel linguaggio di tutti i giorni. Da quella potrei apprendere in che modo la gente del 2091 guarderà a un albero, e questo mi informerebbe bene sul futuro stato della natura. Se la lettera lo descrivesse in termini che Joe Matyas – o se è per questo, anche Henry Thoreau – avrebbe trovato familiari, ci sarebbe di che preoccuparsi, perché significherebbe che siamo rimasti impantanati nelle antiche metafore sulla natura, e che probabilmente non siamo riusciti a districarci dalla nostra difficile situazione attuale.

Ma forse la lettera conterrebbe le prove di una nuova metafora, qualcosa di intenso, potente e, almeno per qualche tempo, vero. Con ogni probabilità, al principio suonerebbe strana, perfino incomprensibile. Ma alla fine il suo significato affiorerebbe. Ecco cos’è un albero, dunque! Come abbiamo mai potuto pensare altrimenti? In tal caso, potrebbe esserci ragione di sperare che qualche nuova verità abbia messo radici, e che forse abbiamo finalmente dato una base più salda al nostro rapporto con la natura.

Tratto da:  Michael Pollan, Una seconda natura, Educazione di un giardiniere, Adelphi

Correlati

Facebook Twitter Pinterest Email

Filed Under: Educazione di un giardiniere, Michael Pollan, Should Trees Have Standing?, Una seconda natura Tagged With: Adelphi, Educazione di un giardiniere, Should Trees Have Standing?, Tratto da: Michael Pollan, Una seconda natura

Reader Interactions

Join the Discussion Cancel reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

  • Plantae
  • Itinerari
  • Privacy & Coockie
© 2018 LESSICO NATURALE
by IM/STUDIO