John Vaillant, scrittore, giornalista e grande narratore del rapporto tra esseri umani e natura, ha dedicato gli ultimi anni a raccontare l’inizio di una nuova era: quella in cui il fuoco — un tempo forza naturale contenibile — si è trasformato in agente globale, sintomo visibile della crisi climatica in atto. Il suo libro L’età del fuoco (Fire Weather, edito in Italia da Iperborea), finalista al Pulitzer, è molto più che un reportage: è una meditazione documentata e potente su come il nostro mondo stia diventando instabile, infiammabile, vulnerabile, mentre continuiamo a comportarci come se nulla stesse accadendo.
Tutto è iniziato con il devastante incendio di Fort McMurray, nel 2016: un’enorme città petrolifera nel cuore dell’Alberta, in Canada, ridotta in cenere. Vaillant, che è cresciuto non lontano da lì, ha passato sette anni a studiarne le cause, le conseguenze, i segnali nascosti. Quell’incendio, per lui, non è stato un’eccezione, ma un annuncio. Da allora, ha iniziato a osservare attentamente come il fuoco si comporta in questo nuovo contesto climatico: un pianeta surriscaldato, secco, inquinato.
Nel corso di una recente intervista rilasciata mentre si trovava in California, a 75 km da Los Angeles — regione anch’essa devastata da roghi crescenti — Vaillant ha dichiarato:
“Non farò un libro sugli incendi di Los Angeles: tutto quello che so del fuoco l’ho già scritto. Ma se dovessi farlo partirei dalle storie dei pompieri che si stanno battendo contro un nemico diverso da quello a cui erano abituati: dai loro racconti è come se stessero vedendo cambiare il mondo sotto i loro occhi. Spesso devono arrendersi, cosa impensabile fino a pochi anni fa. Oppure racconterei la storia di Peter Kalmus, climatologo che alcuni anni fa ha lasciato il sobborgo di Altadena dove viveva, consapevole che il rischio incendi era troppo alto. Ora Altadena è in cenere”.
L’atmosfera in California, racconta, può ingannare:
“Assolutamente no. Quello che vedo dalla finestra è una cartolina della California: oceano, sole e cieli azzurri”.
Ma intanto i roghi continuano:
“Continuano, ma parzialmente sotto controllo grazie a un grandissimo numero di aerei ed elicotteri che rovesciano acqua e ritardanti lungo il perimetro degli incendi. Tuttavia la distruzione che sta emergendo è terribile. E poco fa è stata diramata una nuova allerta sui venti caldi che hanno alimentato le fiamme e che potrebbero riprendere a farlo. La brace può viaggiare per centinaia e migliaia di metri in queste condizioni. E quando atterra trova un suolo e una vegetazione asciuttissimi, quindi è davvero facile riappiccare il fuoco. Se fosse un inverno normale in California, avremmo umidità, nebbia che riempie le valli al mattino, rugiada sull’erba, e nessun tizzone potrebbe appiccare un incendio”.
Alla domanda su cosa possa aver innescato questi disastri, Vaillant risponde in modo disarmante:
“La contea di Los Angeles è la più popolosa di tutti gli Stati Uniti, con dieci milioni di persone. Quante cose possono fare casualmente dieci milioni di persone? Una sigaretta, un fuoco d’artificio, un cavo elettrico difettoso, una scintilla del motore della motocicletta… E poi ci sono le reti elettriche. Ma c’è un’altra possibilità: un paio di mesi fa nella contea c’erano stati altri grandi incendi che potrebbero aver continuato a covare sotto la cenere, per poi riemergere quando le condizioni glielo hanno permesso, con l’arrivo dei venti Santa Aña”.
Ma il punto non è tanto la scintilla, quanto il contesto:
“C’è chi, come Peter Kalmus, che però è uno scienziato, ha la capacità, la volontà e la forza di vedere i rischi e di cambiare i propri comportamenti di conseguenza. Ma in generale preferiamo non vedere, pensare che non riguardi noi. È come se ciascuno di noi fosse chiuso nella sua scatola e non vedesse cosa c’è fuori. Questo spiega lo shock di chi è stato colpito dai roghi: sappiamo tutti che la California è altamente infiammabile, eppure queste persone non riescono a credere che sia capitato proprio a loro. Ognuno avrà pensato: so che c’è il rischio incendi, ma non andrà certo a fuoco il mio quartiere”.
Non è negazionismo, è rimozione. E questa, secondo Vaillant, è la vera trappola: viviamo in un mondo che cambia più in fretta della nostra capacità di accettare il cambiamento.
In L’età del fuoco, l’autore scrive che i grandi incendi sono una manifestazione del Petrocene — l’era del petrolio. Tutto è collegato:
“È tutta la nostra civiltà ad essere alimentata dal fuoco e dal petrolio. L’80% della nostra energia viene dai combustibili fossili. Gli esseri umani bruciano globalmente 100 milioni di barili di petrolio al giorno: una enorme quantità di CO2 immessa nell’atmosfera, senza contare il contributo che danno il carbone e il gas ogni giorno. Ogni incendio sulla Terra è influenzato, in un modo o in un altro, dai cambiamenti climatici provocati dall’immissione in atmosfera di tutta questa anidride carbonica. È questo, per esempio, il motivo per cui gli incendi si sviluppano così aggressivi anche la notte: i pompieri non hanno tregua”.
Un tempo si combatteva di giorno e si dormiva di notte. Oggi, i vigili del fuoco non si fermano mai, e questo ha effetti devastanti anche sulla loro salute.
Di fronte a tutto ciò, i governi sembrano ciechi. Alla provocazione su Trump e lo slogan “Drill baby, drill”, Vaillant risponde:
“Trump potrà rilasciare nuove licenze di trivellazione, potrà distruggere l’agenzia federale per la protezione dell’ambiente, potrà rendere gli Usa e il mondo un posto più pericoloso in cui vivere. Ma non potrà cambiare il mercato dell’energia. E io penso che vedremo un graduale rallentamento nella produzione di petrolio, man mano che proseguirà la transizione energetica verso le rinnovabili. Il Texas è leader in Nord-America nello sviluppo di fonti rinnovabili. In parte per gli incentivi di Biden, ma anche perché hanno tanto spazio, tanto vento, tanto sole e i texani sono gente pratica”.
Il punto finale è forse il più amaro: quante volte ancora possiamo permetterci di pagare questi disastri?
“Helene è costato 200 miliardi di dollari, Milton 575 miliardi, gli incendi di Los Angeles finora 100 miliardi. E le compagnie assicurative stanno fuggendo. Insieme agli scienziati, sono tra i pochi ad avere compreso la gravità della crisi climatica”.
Ma come raccontare tutto questo senza far crollare le persone nella disperazione?
“Probabilmente sono un pavido, ma ho avuto paura a leggere La sesta estinzione di Elizabeth Kolbert o La Terra inabitabile di Wallace-Wells. Così ho scelto un’altra strada. Ho raccontato storie vere, persone, luoghi. Poi arriva il fuoco, e con esso la scienza e la verità. Ma il lettore è già dentro la storia. Non vuole sentirsi dire che tutto sta andando in malora, vuole capire, sentire, partecipare. La vita è già abbastanza dura anche senza il cambiamento climatico. Spero di aver dato un contributo. Perché, come dimostrano gli incendi di Los Angeles, il mondo sta cambiando intorno a noi: se non cambiamo noi, sarà la realtà stessa a punirci”.